“Lei”: una poesia di Biagio Riccio


Forse la rivedrò e sarà il nuovo meriggio, ove lo scarno finito cederà lo scenario allo sconfinato altrove che lei mi fece scrutare.
Ho avuto il privilegio di scrivere oltre il davanzale dei sentimenti e provare a raccontare come si sente il mare al di là dell’orizzonte.
Lei è infatti stata l’alfa e l’omega, perché ho vissuto la limpidezza della passione carnale, ho capito come si possa rimuovere la lacerante solitudine, ho sopportato la delirante possessione, la gelosia morbosa, ho patito i suoi divini capricci e l’altalenante umore; ho pazientato per gli scatti irrefrenabili di ira -pregna d’amore- e di collere ingiustificabili; ho perdonato le imprevedibili rotture riconciliate con assalti impetuosi di intensa ed inebriante femminilità.

Ho sofferto per lunghi ed immeritati silenzi, “passa la nave mia colma d’oblio”.
Ma in Lei c’era il Nascondimento e lo svelamento di Cupido, espressi con i suoi ardenti e travolgenti baci.
Diletto sublime.
Ha smosso il terriccio della mia coscienza, provocato un tellurico smottamento, ha forzato le stratificazioni di una cava ed estirpato materiali preziosi, sepolti nel buio cupo del mio sottosuolo, per farmi essere sempre me stesso, con tutto il divenire e le trasformazioni della vita.
Lei è stata“l’incanto della notte stellata”, e non lo sa, la Musa viva che ha incarnato la poesia, l’ispirazione che ha vellutato la mia letteratura: ho compreso l’inesprimibile delle cose.
Ho sentito le vibrazioni più incisive e durature dell’anima mia, ho capito che anche le pietre che calpestava volessero parlarmi, come se avessero avuto in dono un afflato, uno spirito nuovo di resurrezione che il mondo ignorava: perché ero avvolto nel manto voluttuoso dell’amore di Lei, balsamo miracoloso che risana ogni piaga.
Lei mi ha fatto sorridere come un bimbo ingenuo e felice, mi ha riportato all’infanzia, al sapore ancestrale ed antico delle cose, l’anima mia è divenuta nobile ha pianto e si è commossa per amore.
Questi doni , Lei non sa, rappresentano il significativo percorso dell’amore e non certi esperimenti effimeri, caduchi, fugaci.
Con Lei ho bevuto le stille di rugiada cadute sulle rose e sono volato oltre le stelle per godere della visione solitaria.
Forse, se la rivedrò, gli dèi mi riporteranno alla giovinezza e mi infonderanno il desiderio che sia sempre estate: I fiori ammanteranno con colori vivi ed iridescenti il giardino di Venere, che non so se potrò nuovamente calpestare e sentirò le acque terse dei ruscelli che purificano i miei ascessi, le putrefazioni ed incrostazioni dovute alla sua incomprensibile assenza.
 Molta polvere con ragnatele inestricabili si è accumulata sul mio cuore, da quando sono stato coperto dalla coltre della notte.
Almeno ho scritto, grazie a Lei, canto della mia malinconia.
Il tempo muore, ma l’amore resta.
Biagio Riccio