“Senza meta”: la bellissima storia di Lory Nugnes


Certo non è facile, quando si incomincia ad usare uno strumento informatico, sapersi dosare.
Mentre si fa ricerca e si scrive, iniziano ad aprirsi tante finestre che ti attraggono come ciliegine succose. Una tira l’altra.
E dalla mente fuoriescono nuvolette strane e di variegata misura.
Se capita a me, che sono già avanti con l’età, come può non capitare alla mia bambina che ancora non ne conosce gli effetti collaterali?
Così un giorno, vedendola sola ed assorta ad occhi sgranati sul cellulare (regalatole al suo sesto compleanno per non farla sentire diversa dagli altri bambini) a smanettare con figurine finte e palline colorate senza meta, mi son detta “è ora!”.
Io che ho reminiscenze del mondo in diretta reale; io che ho viaggiato tra i paesi incontrando volti, esperienze e corpi parlanti; io che ho vissuto il corpo nelle esperienze di vento e di giochi di squadra nel sangue; io che ho visto boschi e mari e tramonti ed ascoltato discorsi sotto le stelle. Io “devo”!
Lo devo a me, lo devo a lei.
Ho lasciato a metà il mio lavoro – già divenuto egregora – pensando anche a quale pessimo esempio le stessi mai offrendo in questo modo.

“Amore” -le dico- “vogliamo andare per un po’ a camminare insieme? Così, senza meta”.
Lei alza lo sguardo verso me e con voce flebile mi risponde “Dov’è “senza meta”? È molto lontano?”
Io le rispondo con un sorriso “No, non è lontano, anzi è molto vicino. C’è solo che è quasi invisibile. Ci vuole molta attenzione per scorgerlo e, sai, potrebbe anche darsi che ci vorranno più uscite per vederlo”.
Mi guarda fiduciosa mentre ci sorridiamo e ci incamminiamo.
“Mamma, ma che luogo è?”, mi allarma dopo un po’ che andavamo.
Ed io rispondo, tentando di intrigarla “È un luogo che non sempre appare subito o al primo sguardo, ma vedrai che ci giungeremo”. Così la prendo per mano e proseguiamo.
Ad un tratto le dico ” Guarda amore, una fila di formiche”.
“Ma cosa fanno?” chiede lei.
“Fanno la raccolta delle provviste per l’inverno”.
Così ci accovacciamo insieme ad osservare tutto quell’andirivieni frenetico ed apparentemente sensa senso.
“Mamma, ma queste che fanno?”, alla vista di un ingorgo anomalo.
Io guardando con maggiore attenzione, tento una spiegazione sintetica “Alcune si danno una mano, altre combattono tra loro per conservare le riserve”.
“Ma allora fanno come noi?” mi chiede spiazzandomi.
“Beh, si. Solo che loro combattono davvero per la sopravvivenza, mentre noi lottiamo per una scarpa firmata o un telefonino alla moda”.
Lei si ferma in silenzio.
Ed in silenzio proseguiamo per giungere davvero al nostro luogo “senza meta”.
Usciamo da tempo così, ogni giorno.
Andiamo a “senza meta”, ma ogni volta che usciamo ci soffermiamo incuriosite a scrutare ciò che accade sotto i nostri occhi.
Un giorno abbiamo visto dei fenicotteri e lei mi ha chiesto con candore “Mamma, ma perché sono rosa?”
“Dipende dal colore delle cose di cui si nutrono” le dico.
E lei pronta “Ma perché loro si e noi no? Perché non diventiamo anche noi del colore delle cose che mangiamo?”
“No, amore, qui ti sbagli. Anche noi diveniamo del colore delle cose di cui ci nutriamo, solo che non si vede in modo netto sulla pelle”, le dico recuperando.
Ed incalzo “Se mangiamo del piombo, dentro diventiamo proprio come i soldatini di piombo. Se mangiamo della frutta, dentro diventiamo come degli alberelli in fiore e rigogliosi”.
Lei si ferma in silenzio.
Ed in silenzio proseguiamo per giungere davvero a “senza meta”.
Andiamo così quasi ogni giorno ormai, perché ogni giorno sembra che ci avviciniamo davvero al luogo.
Attraversiamo boschi, sentieri, stradine, spiagge.
E poi l’ho promesso, mi dico.
Un giorno abbiamo visto un cartello con su scritto “Attenzione. Procedere con cautela. Zona di attraversamento rospi”.
“Mamma, ma cosa significa?”
“Significa che qui dove siamo ci sono dei rospetti che tentano di raggiungere il lago. E qui in questo luogo serbano un gran rispetto per gli eventi di natura”.
Lei si ferma in silenzio.
Ed in silenzio così ogni tanto proseguiamo.
Almeno ogni volta in cui la vedo troppo presa dai suoi giochini o dai suoi “compiti” senza senso, ed ogni volta in cui io mi accorgo del mio tanto da fare e delle mie nuvole nere per cui decido di staccare dal “lavorio” spettrale.
È più di un anno ormai che viaggiamo alla conquista di questo luogo bellissimo dal nome “senza meta”, ma ancora non sono riuscita a farglielo vedere, tanto distratte da ciò che accade sotto i nostri occhi.
E mi chiedo ancora se ce la farò mai

Oggi è accaduto che io mi dimenticassi di lei, e che fossi troppo presa dai fogli, dai file, dalle cartelle, dalle finestre, dagli affanni e dalle nuvole nere.
Lei, vedendomi ingolfata e sola, mi viene a toccare dolcemente sulla spalla e con uno sguardo complice e suadente mi chiede “Mamma, andiamo a ‘senza meta’?”
Io mi fermo, sgrano gli occhi e mi scappa un sorriso.
Respiro.
“Si, amore mio, andiamo!”, le rispondo in un baleno lasciando i file, le cartelle, tutte le finestre aperte e i nuvoloni sul capo.
Mi porta a vedere una tartarughina di cui – dice – è diventata amica da poco. Dopo un giro con la sua classe.
“Vedi, mamma, lei ama incontrarmi e mi aspetta sempre qui, sotto questo alberello carino”.
Mi sono fermata. Ho ripreso a respirare prima di tornare.
Quando siamo rientrate, avevamo una gioia semplice nelle nostre mani.
Io ho perso tutto, ovviamente.
Ho perso i file, le finestre e le cartelle lasciati aperti in memoria.
Ho perso la memoria, le carte di appunti e le nuvole nere.
Lo schermo bianco è completamente vuoto.
Su questo bianco, che mi è apparso speciale, mi son trovata a scrivere – senza meta – questa brevissima e, forse, inutilissima storia.

Lory Nugnes