“Quel giorno decisi di fare il poeta”: il bellissimo dialogo di Roberto Benigni

– Ci insegni a scrivere delle belle poesie, papà? Tu come hai fatto a diventare poeta?
– Ero piccolino, avrò avuto qualche anno meno di voi. Avrò avuto otto o nove anni. Ero dalla nonna, la mia mamma. Le volevo bene. Ero andato a trovare lo zio Giustino in campagna e a un certo punto sapete cosa è successo?
– Cosa?
– Un uccellino cominciò a volare e a cantare e a scendere un po’ più giù. Volava e scendeva. Si posò sulla mia spalla.
– No…
– Sì, ve lo giuro! Aveva scelto me in tutto il mondo! Io avevo paura che andasse via e allora facevo finta di essere un albero. Ero fermo. Il cuore mi batteva nel petto. Anzi, proprio sbatteva.
– E poi?
– E poi è volato via. Avevo voglia subito di raccontarlo alla mamma. Corsi in casa a dire: «Mamma, mamma… mamma…». E la mamma, tutta impaurita… Era bella, aveva un vestito rosso… bella bella… «Mamma, un uccellino, volava… e cantava… sulla mia spalla… a me, s’è fermato qui. C’è restato un’ora. Un uccellino…». E lei m’ha detto: «Ah… figurati, chissà che mi credevo!».
– Ma era cattiva la nonna? Non le piacevano gli uccellini?
– No, non era cattiva la nonna e le piacevano gli uccellini. Ma non era lei. Ero io. Ero io che non le avevo raccontato bene quello che avevo sentito, che non le avevo fatto sentire bene le emozioni che avevo provato. Ci rimasi talmente male che dissi: «Ci sarà, nel mondo, qualcuno che di mestiere trova le parole giuste? Che le sa mettere in un modo che quando gli batte il cuore a lui, fa battere il cuore anche a quell’altri?». Quel giorno decisi di fare il poeta.

Roberto Benigni, “La tigre e la neve”, 2005.