Il regista ha dedicato il suo ultimo film, “È stata la mano di Dio”, alla sua mamma, che non c’è più. “Per dire quello che non ho potuto dire.
“Chissà se, nell’aldilà, è consentito andare al cinema. Così mia madre potrebbe vedere la lettera che le ho scritto, attraverso questo film. La lettera che sosta tutti i giorni nell’anima dei figli diventati grandi. Dove scriviamo, col pensiero e con le parole che non abbiamo detto, quella meraviglia che è stata o non è stata, ma che sempre rimarrà nella nostra vita sentimentale, l’idea di meraviglioso.”
Abbiamo avuto madri meravigliose e da ragazzi non lo sapevamo. Coltivavano pedagogie traballanti, fameliche di sensi di colpa. Mia madre, per esempio, nei momenti di conflitto, era solita dire: “Quando non ci sarò più, soffrirete tantissimo”. Non volevamo crederci, perché rifiutavamo il concetto di scomparsa. Invece, naturalmente, è stato così. Come poteva essere altrimenti. Era uno squarcio di cattiveria gratuita e in buona fede. D’altronde la cattiveria tende a essere sempre gratuita. Ma era un altro mondo. Mia madre era sbrigativa ma molto affettuosa. L’ironia era il sollievo per qualsiasi problema. Ai primi sintomi di adolescenza, quando si cominciava a frequentare, con quella gravosità affranta, la profondità, mia madre ricorreva a uno strumento irritante: minimizzava.
“É stata la mano di Dio”
Paolo Sorrentino