Rainer Maria Rilke e l’incontro con Cézanne: dipingere con le parole

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L’incontro con la grande arte di Cézanne ebbe una importanza fondamentale nell’ evoluzione espressiva della poesia di Rilke, un’importanza che lo stesso Rilke ebbe più volte a riconoscere, fino a dichiarare di aver seguito, dopo la morte del Maestro, le sue tracce in ogni luogo. Le lettere alla moglie, scritte in seguito alle visite che Rilke fece alla grande retrospettiva di Cézanne tenutasi a Parigi nel 1907, un anno dopo la sua morte, sono la testimonianza di un interesse che doveva sfociare in vera devozione; e basti pensare che il poeta arrivò a confessare, di fronte ad una Montagne Sainte-Victoire del pittore provenzale, che nessuno, dai tempi di Mosè, aveva saputo guardare una montagna in maniera tanto maestosa.

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Parigi, 21 ottobre 1907
A dire il vero però volevo ancora parlare di Cézanne: non si è finora spiegato quanto il dipingere proceda con i colori, come debbano essere lasciati completamente soli perché possano confrontarsi vicendevolmente. Il loro reciproco rapporto: qui sta tutta la pittura. Chi si intromette, chi mette ordine, chi fa interagire la sua umana riflessione, la propria arguzia, la propria difesa, la propria flessibilità spirituale non fa altro che disturbarne e già offuscarne l’azione. Il pittore (come l’artista in genere) non dovrebbe giungere alla coscienza dei propri principi ispiratori: senza percorrere una strada più lunga al seguito delle sue riflessioni, i suoi progressi, a lui stesso oscuri, debbono penetrare nel suo lavoro in modo talmente rapido che neppure lui possa riconoscerli al momento del loro passaggio. Ah, per chi invece in quel punto li spia, li osserva, li trattiene, ecco che questi si trasformano come il bell’oro della favola, che non poteva restare oro solo perché un dettaglio qualunque non era al suo posto. Che le lettere di Van Gogh si possano leggere così bene, che siano così ricche, parla in fondo contro di lui, come del resto parla contro il pittore (a parte Cézanne) il fatto che egli voleva, sapeva, provava questo e quello; che il blu richiamava l’arancio e il verde il rosso: che, segretamente all’ascolto del suo occhio interiore, egli aveva potuto sentirlo dire dentro di sé, quel curioso. In tal modo egli dipingeva quadri rimanendo sul piano di un’unica contraddizione, e insieme pensando anche alla semplificazione giapponese del colore, che pone una superficie sul tono più vicino superiore, oppure su quello inferiore, tutto sommando in un valore complessivo; la qual cosa porta di nuovo al contorno tracciato ed esplicito (cioè inventato) dei giapponesi come cornici di piani giustapposti: ad un’intenzione e ad un’arbitrarietà troppo urlate, dunque, in una parola, alla decorazione. Un pittore che scrive, dunque uno che non era un pittore, ha indotto con le sue lettere anche Cézanne a esprimere, nelle sue risposte, questioni pittoriche; ma basta scorrere le poche lettere del vecchio e si capisce immediatamente quanto maldestra e a lui stesso odiosa fosse quella pratica. Non riusciva a dire pressoché nulla. Le frasi che registrano quei suoi tentativi si allungano a dismisura, si ingarbugliano, si arruffano, si annodano, ed egli alla fine le lascia stare, fuori di sé dalla rabbia. Può invece scrivere con grande chiarezza: «Credo che la cosa migliore sia il lavoro». Oppure: «Faccio progressi giorno dopo giorno, anche se lentamente». Oppure: «Ho quasi settant’anni». Oppure: «Le risponderò con dei quadri». Oppure: «L’Humble et colossal Pissarro» (che gli ha insegnato a lavorare), oppure, dopo essersi arrovellato (quasi alleggerito e in bella calligrafia): la firma, per esteso: Pictor Paul Cézanne. E nell’ultima lettera (del 21 settembre 1905), dopo essersi lamentato per la sua cattiva salute, dice semplicemente: «Je continue donc mes études». E il desiderio che poi avrebbe esaudito alla lettera: «Je me suis juré de mourir en peignant». Come in un’antica raffigurazione di danza macabra, la Morte, alle sue spalle, gli ha afferrato la mano e ha portato lei, in un brivido di piacere, l’ultima pennellata; la sua ombra indugiava già da un po’ sulla tavolozza ed aveva avuto il tempo di scegliersi, nella gamma aperta e rotonda dei colori, quello che più le piaceva; quando il pennello l’avesse raggiunto lei lo avrebbe afferrato e avrebbe dipinto… eccolo, dunque; lo afferrò e dette la sua pennellata, l’unica che era in suo potere. […]